C'è ancora un pezzo di vita da scrivere
Storia di un uomo coraggioso
13/4/2021
di Fiorentina Vallone
Figlia

La vita ha un inizio ed ha una fine, a nessuno è dato sapere il giorno in cui arriverà la morte ma ognuno dovrebbe avere la facoltà di poter scegliere con chi condividere gli ultimi istanti della propria vita, il covid non concede questa possibilità.

Mio padre era un grande, aveva 85 anni ma aveva tanta energia e tanta voglia di fare, era un uomo solare e pieno di risorse, capace di inventare, creare e reinventarsi. 
Questo è il suo racconto, sicuramente simile a tanti altri racconti di uomini forti e coraggiosi, il racconto di un patrimonio umano sottratto spietatamente alla vita dal covid.

Questa è la sua storia

Era agosto, dopo il lungo periodo di lockdown, sembrava si potesse ricominciare a vivere, mio padre, consapevole dei rischi che correva alla sua età, era molto attento e preferiva rimanere a casa, aveva smesso anche di recarsi in campagna a coltivare l'orto per evitare qualsiasi pericolo e si dedicava alla sua nuova passione ( lui ne aveva tantissime), realizzare meravigliosi cesti di vimini. Trascorreva il suo tempo seduto a crearne di tanti tipi e in tante forme.

Era bello trovarlo seduto all'ombra del suo gazebo, con i suoi attrezzi da lavoro e sempre all'opera con una sua nuova creazione, a volte il suo lavoro si protraeva fino al tardo pomeriggio, incurante della stanchezza e della luce del sole che diventava sempre più flebile.

Mi accoglieva sempre con il suo sorriso rassicurante ed era sempre pronto a darmi una mano quando ne avevo bisogno, per lui niente era impossibile, a tutto c’era una soluzione.

Poi un pomeriggio, l'inizio di un incubo, un piccolo malore, un'analisi del sangue con valori troppo fuori dalla norma e il bisogno di approfondire con indagini più mirate. È bastato poco a comprendere che la situazione non era delle migliori, la diagnosi riconduceva ad un adenocarcinoma alle vie biliari.

Mentre noi eravamo ancora increduli e sconfortati, lui non era affatto disperato e chiese, a me e mio fratello, di cercare un centro specializzato per avere un parere da un chirurgo esperto per questi tipi
di tumore.

Dopo pochi giorni eravamo in viaggio verso l'Ospedale Pederzoli di Peschiera del Garda, un centro specializzato per le patologie delle vie biliari.

Dopo un'accurata valutazione delle condizioni fisiche e dello stadio della malattia, da parte dell'equipe medica, si era concretizzata la possibilità di poter intervenire anche se, come tutti gli
interventi, c'erano dei rischi.
Mio padre, con il suo modo di essere combattivo e coraggioso, era deciso ad affrontare l'intervento, la motivazione chiara nelle sue poche parole : NON INTENDO ASPETTARE LA MORTE SOFFRENDO.

Parole che oggi mi risuonano nella mente come un anatema.

Dopo aver stabilito, con l’equipe medica, il giorno del ricovero e dell'intervento, si tornava a casa, con la consapevolezza di dover prestare ancor più attenzione alle regole di prevenzione per evitare
che qualcosa potesse ostacolare il programma dell'intervento.

Ci siamo sottoposti ai tamponi con tutta la famiglia, abbiamo evitato di avere qualsiasi contatto con
altre persone e cercato di essere prudenti fino all'inverosimile.

Il 18 novembre eravamo di nuovo in viaggio verso il Pederzoli di Peschiera, un viaggio pieno di belle emozioni, affrontato con spirito positivo e rallegrato dai racconti di mio padre che ci incoraggiava facendoci sorridere.

Tutto procedeva per il meglio, i test eseguiti prima di partire erano risultati negativi, il test eseguito prima del ricovero altrettanto negativo.
Ricovero in ospedale il 20 novembre... intervento eseguito dopo pochi giorni e durato 8 ore ... la sera dall'intervento ci ha telefonato per tranquillizzarci...anche il post intervento inaspettatamente
tranquillizzante.
Pochi giorni dopo riusciva già a mangiare, riusciva a stare in piedi e a comunicare assiduamente con noi telefonicamente esprimendo la sua soddisfazione per la riuscita dell'intervento.

Consapevoli di non poter entrare in ospedale a causa del rigoroso divieto di accedervi per le restrizioni covid, io e mio fratello avevamo deciso di rimanere comunque a Peschiera in attesa delle sue dimissioni, era duro non potergli fare visita, unica consolazione era quella di poter intravedere la sua sagoma attraverso le tapparelle socchiuse della camera dov'era ricoverato e salutarlo dalla strada. Facevamo questo ogni giorno.

Ma l'attesa stava per terminare, altri pochi giorni e sarebbe stato dimesso. I dottori erano soddisfattissimi, ottimo decorso post operatorio, drenaggi rimossi, rimaneva un ultimo passaggioprima di poter lasciare l'ospedale, il tampone.

Sarebbe dovuto uscire il mercoledì, avevamo deciso di farlo riposare qualche giorno restando a Peschiera, prima di riprendere il viaggio verso casa ma anche per fargli ammirare la bellezza  del lago di Garda, visto che il tempo permetteva.

Ma quel tampone, inverosimilmente positivo, ha stravolto i suoi e i nostri piani facendoci crollare nello sconforto più assoluto . Nessun sintomo, nessun segnale di allarme, nessuna ipotesi plausibile
da ricollegare al contagio, eppure risultava positivo al virus.

Si presentava asintomatico, a detta dei medici la situazione era stabile e sotto controllo, noi eravamo allarmati e basiti per ciò che era successo. Contrarre il covid in ospedale non l'avevamo messo in conto, dopo tutte le restrizioni che c'erano, dopo tutte le attenzioni che avevamo avuto, dopo la tristissima attesa senza poterlo né vedere nè stringergli la mano, nè dargli un minimo di conforto.

Il suo trasferimento nel reparto di chirurgia covid, era ancora più duro da accettare, avevamo difficoltà a comunicare con lui telefonicamente e nonostante la disponibilità degli operatori, non era semplice avere notizie perché erano impegnatissimi. Piano piano ci accorgevamo che le sue forze stavano venendo meno, non rispondeva più al telefono e potevamo parlare con i dottori solo una
volta al giorno per avere sue notizie.
Le notizie erano sempre più preoccupanti e noi sempre più disperati, il 10 dicembre abbiamo ricevuto la sua ultima telefonata esprimeva la sua preoccupazione per non poter comunicare con noi, dopodiché è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva perchè affetto da una polmonite bilaterale che non gli permetteva più di respirare autonomamente, da quel giorno non lo abbiamo più sentito. Prima la respirazione assistita mediante il casco, poi la sedazione per alleviare la sofferenza e, da parte nostra, la disperazione e l’attesa infinita di ricevere qualche notizia confortante.
Abbiamo pregato tanto affinchè si compiesse il miracolo di poterlo rivedere, accarezzare, parlargli per l'ultima volta, purtroppo il miracolo non è avvenuto e dopo una settimana, il 17 dicembre 2020, abbiamo ricevuto la telefonata che non avremmo mai voluto ricevere.
Tanta disperazione e tanti interrogativi per una morte simile ad una morte in guerra, dove i caduti non hanno la possibilità di esprimere l’ultimo desiderio e nemmeno di essere riabbracciati dai loro famigliari.

Così abbiamo potuto solo assistere disperati al passaggio della bara di mio padre, nella bara il suo corpo avvolto in un lenzuolo, non ha avuto nemmeno la possibilità di poter indossare i suoi abiti più eleganti, per la sua sepoltura.

E' straziante il dolore di quest'ultima immagine, il corpo avvolto in un lenzuolo, ci riporta all’immagine della morte di Gesù, morto in Croce e avvolto in un lenzuolo prima della sepoltura.

Questo è quello che ci resta di un viaggio affrontato con coraggio e con tanta speranza ma purtroppo finito come una morte in guerra:

qualche foto dei giorni prima del ricovero

un foglio con un messaggio, scritto a lettere cubitali per dargli la possibilità di leggerlo e fattogli recapitare da una infermiera

la foto scattata sotto la finestra della stanza dov'era ricoverato

lo screen di una videochiamata

la bustina con i suoi effetti personali recapitatami dopo la sua morte.

un telegramma di condoglianze del governatore del Veneto,

Ma soprattutto il dolore incommensurabile di non avergli potuto dire per l'ultima volta: PAPA' TI VOGLIO BENE.

Questa pandemia è una guerra e noi possiamo solo assistere inermi alla strage che si sta compiendo, perché non abbiamo armi idonee per poter combattere.

I morti di covid sono come i morti in guerra, meritano il nostro rispetto e soprattutto meritano di non essere dimenticati.